martedì, marzo 14, 2006

PROMETEO LEGATO





















Prometeo
ovvero ‘note sull’angoscia e l’ambiguità’

Prometeo passa in scena con una luce in mano, illumina una corona di filo spinato e guarda, seduto, uno spezzone del film Frankeestein. Il segno è allusivo, la sua funzione quella di ‘rinviare a’ e integrare; il segno è sempre mediazione e chiarificazione estrema (qui è anche pre-interpretazione). Bia, la Violenza, sarà già in scena prima di Kratos e Efesto. Bia tende un drappo rosso cui è legato Prometeo, trascinato. Due strisce di drappo rosso calano dall’alto, dove è la dimora di Zeus. Due scie rosse come sangue, scie di potere, di violenza. Bia, la Violenza, è in scena in quanto una Stimmung dell’opera è la ‘violenza’. Il dramma è di una staticità assoluta. Il protagonista vive la scena in una costante e faticosa immobilità, costretto in un spazio ridotto, libero solo di esercitare la forza aggressiva della sua parola. Una catena è disposta in cerchio sul palco e circonda Prometeo: la delimitazione dello spazio suggerisce il senso del limite da lui infranto. La roccia su cui agisce Prometeo è una piattaforma cui si accede per mezzo di tre scalini. Indica la distanza e l’isolamento e al tempo stesso colloca il Titano in una dimensione ambigua tra terra e cielo. Prometeo stesso è segno di ambiguità e contraddizione, e sotto il segno dell’ambiguità si manifesta nel mito in quanto prima amico, poi nemico di Zeus. La piattaforma elevata indica e si fa anche trampolino di lancio per la sua precipitosa caduta verso il basso (Prometeo demoniaco: la caduta). La scena è immersa in un bianco candore (di assenza). Il disegno scenico è, come sempre essenziale, improntato a quel ‘minimalismo tragico’, che è il segno della nostra poetica teatrale, rivendicazione (e costrizione) del nostro modo di concepire e fare teatro. I personaggi sono astratte personificazioni concettuali (Kratos e Bia = Dominio e Violenza) o divinità o, come Iò, una creatura polimorfa, bestiale e umana. Il Prometeo appartiene ad una dimensione atemporale. Le forme espressive e gestuali sono caratterizzate da tensione, contrazione, lentezza, scatto, gravità, chiusura, ripiegamento, ma anche apertura, armonia, ascensione, scioltezza. Le movenze sono ieratiche e arcaiche, a volte oniriche. Il gesto rituale rompe il senso e il sentimento del tempo: è sospensione del quotidiano e tensione alla complessità. Lo scheletro linguistico tende alla musicalità, fatta di suoni duri, allitteranti e marcati, effetti d’eco, ricerca costante di vibrazione acustica alternata a suoni e silenzi (cioè: Prometeo sospeso tra terra e cielo). La retorica letteraria si trasforma in suono, per essere recepita come ri-sonanza, al di là del suo significato: il suono del singulto, il suono del lamento, il suono dell’urlo, il suono del canto, il suono… il linguaggio che torna alla sua fisicità, il linguaggio come impatto emozionale. L’opera è destinata ad un pubblico che deve accordarsi, armonizzarsi con la ritualità scenica dello spettacolo, e imparare a servirsi di quello che sente e vede. Noi vogliamo non offrire, ma solo suggerire strumenti educativi, ‘paideutici’ - come dicevano gli antichi greci - per educare all’ascolto e alla meditazione. Per ottenere questo vogliamo che l’ascolto e la visione siano esasperanti e angoscianti. L’arte tragica antica funge da esempio: non c’è teatro senza angoscia (l’efficacia catartica del Prometeo passa attraverso la sofferenza fisica, attraverso un impatto ineludibile col destino che lo costringe ad una condizione di dolore), anche perché non c’è esistenza senza angoscia. L’angoscia dell’oggi sta nella perdita dello spirito, nella urlata ed esaltata volgarità di linguaggi, che reprimono la sensibilità e le potenzialità creative dell’uomo. Noi cerchiamo di imparare e capire come le forme mitiche originarie possano riempire il presente e superarlo. Il recupero del mito, del suo affascinante e affabulatorio mistero, è oggi spesso svalutato da una falsa, deviante, frustrante mentalità scientifica, mentre il mito è fonte inesauribile di problematiche umane. Noi ci collochiamo tra pre-moderno e post-moderno, perché il moderno è in crisi. Prometeo è una forma mitica originaria e assoluta, ci proietta nel pre-moderno e ci aiuta a superare la crisi del moderno. Noi abbiamo nostalgia di ciò che è arcaico; noi abbiamo bisogno della solenne e solida architettura dorica. Il senso del limite e il superamento del limite stesso è l’angoscia tragica di Prometeo, sublimata nell’accettazione del sacrificio. Prometeo è il ribelle capace di amore. Prometeo è l’altezza impervia di una razionalità in eccesso che si scontra con l’orgogliosa affermazione e autocompiacimento di sé. Prometeo è modello ambivalente di orgoglio smisurato. L’autocontraddizione originaria impronta e caratterizza lo statuto del tragico. Un senso del Prometeo è la riflessione tragica sul ‘limite’ che travolge l’uomo nella rovina, se non riconosciuto, ma, se riconosciuto, lo nobilita. Prometeo è la sublimazione dell’ostinazione in eroismo. L’arma di Prometeo è una sovversiva fiducia nel sapere che combatte per sondare la struttura del divino. Prometeo vuole dominare la natura. Il fuoco è luce, la luce è conoscenza, è l’arte, è la cultura che modella e vuole dominare (i doni del)la natura. Questo è l’orgoglio di Prometeo, ma anche la sua colpa, il suo peccato.



Laboratorio Teatrale Thiasos
Liceo A. Volta - Sezione Classica
Eschilo

PROMETEO LEGATO

Dramatis personae
KRATOS E BIA

EFESTO
PROMETEO

CORO DELLE OCEANINE

OCEANO

IO'

ERMES

PROLOGO
Prometeo è legato a una rupe da Efesto alla presenza di Kratos e Bia (Dialogo tra Kratos e Efesto; Bia è ‘personaggio muto’). Lamento di Prometeo.

PARODO
Il Coro delle Oceanine si unisce al lamento di Prometeo. Si inseriscono le monodie di Prometeo.

EPISODIO I
Dialogo tra Prometeo e Coro (Prometeo espone antefatto e motivo della sua punizione: prima aveva tentato di difendere Zeus dall’attacco dei suoi fratelli Titani; poi aveva avversato la volontà di Zeus, nuovo re degli dèi, perché voleva la distruzione del genere umano; anzi Prometeo gli ruba il fuoco e lo dona agli uomini).
Dialogo tra Oceano e Prometeo. Oceano a Prometeo propone una mediazione, ma Prometeo non accetta la proposta di Oceano di intercedere per lui presso Zeus: Prometeo non si piegherà al potere di Zeus; del resto Zeus stesso non muterebbe la sua volontà, come dimostrano le pene inflitte a Atlante e Tifone.

STASIMO I
Dura sorte colpisce chi viola le legge di Zeus; inesorabile si abbatte la sua punizione. Tutte le genti di Oriente levano il loro compianto su Prometeo, Titano glorioso un tempo.

EPISODIO II
Dialogo tra Prometeo e Coro. Prometeo racconta i benefici da lui arrecati all’umanità: egli ha portato gli uomini da uno stato ferino e selvaggio ad uno civile. Il Coro manifesta la speranza che un giorno Prometeo sia liberato. Prometeo risponde che la sua liberazione è sottoposta solo alla legge di necessità, a cui lo stesso Zeus soggiace.

STASIMO II
Le Oceanine dichiarano affetto e simpatia per Prometeo, ma affermano con timore che mai nessuno debba opporsi al volere di Zeus; Prometeo non doveva aiutare la debole stirpe mortale ribellandosi a Zeus.

EPISODIO III
Dialogo tra Prometeo e Iò con interventi del Coro. Iò racconta i tormenti a cui è sottoposta: Prometeo profetizza altri tormenti che Iò dovrà subire fino alla liberazione da parte di Zeus, poi accenna alla sua futura liberazione.

STASIMO III
Il Coro riflette sulle disgrazie di Iò: Iò è mortale e mai una mortale dovrebbe aspirare al letto di Zeus, che è il re degli dèi.

ESODO
Prometeo predice al Coro la caduta di Zeus, se non rinuncerà alle nozze da cui nascerà un figlio più forte di lui. Questo è il segreto che Hermes, messaggero di Zeus, tenta di carpire a Prometeo. Prometeo rifiuta, Hermes annunzia l’ira di Zeus che distruggerà il suo nemico.


Efesto, forza: fa’ tuo l’impegno che il Padre ti diede,
piantare alle rocce,
ai picchi d’abisso
quel disperato - guardalo -
tra blocchi senza spiragli,
di nodi d’acciaio.
La gemma ch’è tua,
la fiamma lucente
radice d’industrie,
lui l’ha carpita,
l’ha fatta compagna dell’uomo.
Eccolo, il suo delitto:
è dovere che ne sconti
il castigo agli dèi.
Eschilo



Eschilo (525/4-456/5 a.C.)
nacque da famiglia aristocratica nel demo attico di Eleusi,
Combattè a Maratona (490) e a Salamina (480). A venticinque anni cominciò a mettere in scena le sue opere, ma solo nel 484 ottenne la sua prima vittoria. Fu in Sicilia nel 470, ospite di Ierone, tiranno di Siracusa. Vi fece ritorno alla fine della sua vita e morì a Gela. Ci restano di lui circa novanta titoli, ma ci sono giunte sole sette tragedie: i Persiani, i Sette a Tebe, le Supplici, Prometeo legato e l’unica trilogia completa del teatro greco a noi pervenuta, l’Orestea, formata da Agamennone, Coefore e Eumenidi.

Il Prometeo legato fu composto e rappresentato a Atene nelle feste di Dioniso circa negli anni sessanta del V sec. a. C.
Questa tragedia faceva parte di una trilogia sul personaggio Prometeo, formata da altri due drammi, oggi perduti, dal titolo Prometeo portatore di fuoco e Prometeo liberato



"E così la duplice essenza del Prometeo eschileo, la sua natura insieme dionisiaca e apollinea, potrebbe essere espressa in formula astratta così: «Tutto ciò che esiste è giusto e ingiusto, e in entrambi i casi ugualmente giustificato». Questo è il tuo mondo! Questo significa un mondo!" (Nietzsche)
Donai loro il fuoco, la fiamma e tutte le arti che la fiamma alimenta. Infiammando i loro animi, feci nascere in loro la divorante fede nel progresso. E stranamente mi rallegravo che la salute degli uomini si logorasse nel produrlo. Non più fede nel bene, ma speranza malata nel meglio." (Gide)
"Nemmeno la tragedia greca poteva accordare la libertà e il soccombere. Soltanto un essere, che fosse privo della libertà, poteva soggiacere al destino. Era una grande idea quella di sopportare volontariamente anche la punizione per un delitto inevitabile, al fine di dimostrare attraverso la perdita della propria libertà appunto questa libertà, e inoltre soccombere con un’aperta affermazione del libero volere." (Schelling)
"L’errore di una certa letteratura è di credere che la vita è tragica perché è misera. Essa può essere sconvolgente o magnifica, ecco la sua tragedia. Senza la bellezza, l’amore o il pericolo, vivere sarebbe quasi facile." (Camus)
"Tu sei ai mortali un simbolo e un segno del loro fato e della loro forza. Al par di te, l’uomo in parte è divino, torrente intorbidato che scaturisce da pura sorgente: egli può antivedere in parte il suo funereo destino, la sua infelicità, la sua resistenza, la vita sua triste e sprovveduta. A ciò lo spirito suo può opporre se stesso, adeguato ad ogni dolore, e una ferma volontà, e un senso profondo, che nella stessa tortura scopre il premio recondito e trionfa quando ardisce sfidare, e fa della morte una vittoria." (Byron)
"La rappresentazione tragica si fonda su un dialogo violento o irresistibile, e su cori che sostengono o interpretano il dialogo. Questi elementi danno al conflitto la direzione oppure la forza, come organi sofferenti del corpo in lotta con il dio; ed essi non possono mancare perché il dio, anche nella forma tragica, non può comunicarsi in modo assolutamente immediato al corpo, bensì deve essere colto intellettualmente o assimilato in modo vitale. Ma la rappresentazione tragica consiste soprattutto nella parola, che agisce in modo fatale dall’inizio alla fine." (Hölderlin)
"Credo che il ritorno alle origini del teatro, alla necessità originaria del fare teatro che sono rappresentate dalla tragedia greca, sia una necessità permanente che presuppone viaggi periodici di riesame e di riconsiderazione, specialmente nei momenti in cui ci si chiede se e quale possa essere ancora la legittimità della rappresentazione teatrale e in rapporto a cosa e in funzione di cosa possa svilupparsi." (Ronconi)
"La bellezza sorge dalla compassione, e non è altro che il conforto che questa si cerca. E la suprema bellezza è quella della tragedia. Angosciati nel sentire che tutto passa, che noi passiamo, che passa ciò che è nostro, l’angoscia stessa ci rivela la consolazione di ciò che non passa, dell’eterno, del bello. E questa perpetuazione della momentaneità si realizza solo come bellezza in azione." (de Unamuno)
"E domani un umorista potrebbe raffigurar Prometeo sul Caucaso in atto di considerare malinconicamente la sua fiaccola accesa e di scorgere in essa alla fine la causa fatale del suo supplizio infinito. Egli s’è finalmente accorto che Giove non è altro che un suo vano fantasma, un miserevole inganno, l’ombra del suo stesso corpo che si projetta gigantesca nel cielo, a causa appunto della fiaccola ch’egli tiene accesa in mano. A un solo patto Giove potrebbe sparire, a patto che Prometeo spegnesse la candela, cioè la sua fiaccola. Ma egli non sa, non vuole, non può; e quell’ombra rimane paurosa e tiranna, per tutti gli uomini che non riescono a rendersi conto del fatale inganno." (Pirandello)

Qui io resto, formo uomini
a mia immagine,
una stirpe che mi sia eguale,
per soffrire, per piangere,
per godere e per gioire,
e non curarsi di te,
come me!
Goethe
Martedì 18 Aprile _ ore 20.45 teatro Politeama _ Poggibonsi (si)
informazioni e prenotazioni: arsenart@hotmail.it cell: 346 37 83 049

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