lunedì, luglio 05, 2010

Medea: la fortuna.






Le numerose parodie di passi della Medea di Euripide fatte da Aristofane dimostrano quanto grande doveva essere la popolarità di questo dramma per gli Ateniesi del V secolo. Nel mondo romano si ispirò all’opera euripidea Quinto Ennio (239-169 a.C.) che compose la Medea exul, di cui ci sono pervenuti solo dei frammenti. Una Medea compose anche Ovidio, ma l’opera è andata interamente perduta. Si è conservata, invece, la Medea di Seneca, che, pur rifacendosi a Euripide nelle sue linee essenziali, ripensa il personaggio accentuando l’elemento magico, appena sfiorato dal poeta greco. La Medea di Seneca è un personaggio, per così dire, satanico, che per molti versi trova un suo archetipo nella strega degli epodi di Orazio e ci riporta anche alle atmosfere orride del VI libro della Farsaglia del nipote Lucano. Gli aspetti perversi e mostruosi, che definiscono questa donna la quale non si ferma davanti a niente e a nessuno, sono in linea con il gusto del tempo e con una destinazione che, forse, non era quella della scena teatrale, ma quella delle sale di recitazione. L’elemento orrido emerge in modo evidente dal fatto che l’infanticidio non viene semplicemente descritto, come in Euripide (la tragedia greca - è noto – non ammetteva omicidi sulla scena), ma rappresentato. D’altra parte la caratterizzazione senecana del personaggio è in linea perfetta con il verbo stoico, che condanna le eccessive passioni per esaltare l’imperturbabile razionalità del saggio.
Nel 1635 con la tragedia Medée esordì P. Corneille. Nel 1814 scrisse la sua Medea l’italiano G.B. Niccolini; ancora nell’ottocento (1821) il drammaturgo austriaco F. Grillparzer dedicò a Medea una parte della trilogia Da Goldene Vlies (Il Vello d’oro).
Nel novecento abbiamo almeno altri due drammi dedicati a questo personaggio: la Medée di J. Anouihl (1946) e La lunga notte di Medea di Corrado Alvaro (1949). In queste opere l’antica saga è rivisitata in chiave attualizzante: nella prima si punta sull’angoscia esistenziale, nel secondo allo scontro tra popoli diversi, che, all’indomani della seconda guerra mondiale, invita ad una riflessione sul tema dell’emarginazione razziale.
Anche notevoli opere melodrammatiche ribadiscono la fortuna della tragedia di Euripide. Ricordiamo la Medée di Th. Corneille, musicata da M.-A. Charpentier (1693), quella ben più famosa per la musica di L. Cherubini su testo di F.B. Hoffmann (1797), ripresa con grande successo anche ai nostri giorni nella straordinaria interpretazione di Maria Callas; e poi ancora nel XIX secolo la Medea in Corinto di F. Romani (musica di G. Mayr; Napoli 1813), la Medea in versi di B. Pastiglia (musicata da G. Pacini; Palermo 1843), la Medea messa in musica da S. Mercadante (Napoli 1851) su testo del Romani rielaborato da S. Cammarano. Ricordiamo, infine, la recente Medea del compositore greco M. Theodorakis.
Tra le produzioni cinematografiche di assoluto rilievo meritano di essere ricordate quella di P.P. Pasolini e di Lars von Trier (1988), due opere che guardano al personaggio femminile con ottiche diverse: se il primo ci offre una Medea ‘barbara e sacrale’, il secondo, pur collocando gli scenari in spazi naturali della Danimarca e rifiutando ogni allusione teatrale, resta legato alla tragedia euripidea e pone al centro del dramma l’orrore dell’infanticidio come estrema e assoluta vendetta contro Giasone.
Il soggetto interessò anche la pittura antica, nonché la pittura e la scultura a partire dal Rinascimento. Per le rivisitazioni della Medea di Euripide nel XX secolo nell’ambito del teatro, del cinema, della narrativa, della poesia, dell’opera, ecc. si può vedere l’elenco di 184 titoli apparso in Prima Fila (mensile di teatro e di spettacolo), n. 71, marzo 2001, pp. 19ss.

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