lunedì, luglio 05, 2010

Medea, la tragedia di un divorzio




di Sandra Lanfredini

Medea è una straniera, questa è una delle caratteristiche più frequentemente rimarcate nel corso della tragedia di Euripide, e una straniera ripudiata. Insieme ai numerosi motivi che costituiscono il tessuto etico ed ideologico dell’opera, possiamo intravedere nella vicenda della barbara scacciata dal marito l’eco di un dramma che coinvolse molte famiglie ateniesi alla metà del V secolo a.C.
La politica di espansione imperialistica che Pericle attua in questo periodo subisce una battuta d’arresto nel 456 a.C.: nei pressi di un’isola del delta del Nilo, Prosopitide, la flotta ateniese è gravemente sconfitta dalle forze navali persiane. Due conseguenze derivano dalla disfatta: nel 451 si stringe un accordo con Sparta per una tregua quinquennale nella lotta tra le due città e la situazione economica peggiora rapidamente a causa delle perdite subite e della disoccupazione di molti cittadini, precedentemente impegnati nella flotta e nell’esercito. Questa crisi favorisce il riemergere di tendenze conservatrici (Cimone rientra dall’esilio decennale proprio nel 451) e il diffondersi di pulsioni xenofobe nei confronti degli abitanti di origine straniera. Mercanti e navigatori erano affluiti verso l’Attica in numero sempre crescente negli anni di massima affermazione della potenza ateniese ed i cittadini della metropoli attica salpavano verso le isole, l’Asia Minore e la Tracia, per approfittare delle opportunità di arricchimento che il commercio offriva. Durante questi viaggi molti sposavano donne straniere, che conducevano poi con sé al ritorno in patria. Agli occhi dei conservatori le famiglie nate da questi matrimoni misti non offrivano garanzie sull’educazione dei figli, che crescevano in un nucleo familiare multiculturale e non rigidamente ed esclusivamente fondato sulle tradizioni ateniesi. In certi ambienti si guardava con profonda diffidenza alla eventualità che questi cittadini di sangue misto accedessero per sorteggio alle cariche pubbliche e quindi al governo della città.
Dunque, come accade sovente nei periodi di crisi, gli stranieri divennero il capro espiatorio delle presenti difficoltà di Atene. Pericle stesso, pur non essendo conservatore, si assunse il compito di proporre e far approvare dall’assemblea una legge che mirava a salvaguardare l’identità culturale e razziale degli Ateniesi e a sedare le preoccupazioni di molti cittadini. Tale legge riservava il diritto di cittadinanza ai figli di genitori entrambi ateniesi, come tramandano Aristotele nell’opera Athenaion Politeia (26.4: non doveva partecipare alla vita politica della città chi non fosse nato da entrambi i genitori cittadini) e Plutarco (Pericle 37.3), quando parla di quelli nati da due Ateniesi come gli unici cittadini riconosciuti. Quindi i figli di donne straniere non erano più cittadini con pieni diritti, ma nothoi ek xenes, cioè “illegittimi da madre straniera” (esistevano anche nothoi ex astes, “illegittimi da madre cittadina”).
Molte incertezze permangono sui tempi di attuazione della legge: non sappiamo per certo se il declassamento da politai a nothoi fu immediato per tutti coloro che si trovavano nella condizione prevista o se riguardò solo i nati dopo l’approvazione della legge. Aristotele (loc. cit.) afferma che l’innovazione legislativa aveva lo scopo di ridurre il numero dei cittadini e questo indurrebbe a pensare che l’applicazione fosse immediata, al fine di usufruire in tempi brevi dei vantaggi portati ad alcuni da questo provvedimento. Tuttavia questa ipotesi sembra smentita dal fatto che Cimone, figlio di Milziade e di una straniera, era a capo della flotta che nel 449 contendeva il dominio di Cipro all’impero persiano. Comunque è certo che negli anni fra il 451 e il 445 la tendenza a limitare i diritti dei non ateniesi si inasprì fortemente, come è confermato dallo storico Filocoro, che ci dà notizia di una revisione delle liste dei cittadini fatta nel 445, per appurare chi avesse diritto a godere di una distribuzione straordinaria di grano, consentita dall’arrivo dei 30000 medimni di frumento donati dal re di Libia Psammetico.
Molte famiglie ateniesi furono sconvolte dalle conseguenze della nuova legge sulla cittadinanza: i ‘bravi’ cittadini ateniesi, preoccupati della posizione sociale propria e dei discendenti, si affrettarono a ripudiare le mogli straniere per passare a nuove nozze con una donna astè, dalla quale avere figli legittimi e non nothoi. Il comportamento e le motivazioni di questi uomini sono simili a quelli di Giasone, e li riconosciamo in alcuni versi della tragedia: non hanno malanimo nei confronti della moglie (v. 464: anche se mi odi, io non posso avere malanimo contro di te); mantengono comunque un atteggiamento amichevole (v. 549: sono per te un grande amico); l’unico scopo del nuovo matrimonio è la procreazione e l’educazione di figli legittimi nella tradizione della famiglia e del demos (v. 562: per poter allevare i miei figli secondo il decoro della mia gente).
Ripudiare la moglie ‘scomoda’ sembrava agli Ateniesi una soluzione agevole e quasi ovvia e forse qualcuno avrà esclamato come Giasone (vv. 573-575): Meglio sarebbe che gli uomini in altro modo generassero figli, e non ci fossero donne; solo così non avrebbero guai. D’altronde per la donna c’era sempre scarsa considerazione e la nascita dei figli era l’interesse primario, se non esclusivo, di molti mariti in molti matrimoni: la formula stessa con cui un padre consegnava la figlia allo sposo conferma questa visione delle nozze: per la procreazione di figli legittimi ti do mia figlia. Probabilmente, i più benevoli offrirono alla moglie ripudiata un umiliante ruolo di ‘amica’, proprio come Giasone (vv. 448-449: Potevi restare in questa terra e abitare in questa casa, sopportando paziente il volere dei più forti di te), ma senz’altro tutte, abbandonate, guardate di mal’occhio dagli Ateniesi, uomini e donne, prive di ogni sostegno, maledirono come Medea il giorno in cui avevano lasciato la casa paterna per seguire un uomo, uno straniero per loro (vv. 431-438): Folle di amore tu navigasti lontano dalle case paterne, passando attraverso le gemine rupi del varco marino, e qui, in terra straniera, hai perduto, infelice, lo sposo, hai perduto l’amore, e in bando, con ignominia, sei discacciata.

Nessun commento: