martedì, luglio 20, 2010

stage door

Per scrivere due righe sulla settimana appena trascorsa, dovrei partire dalla domenica. Ma sarebbe fuorviante parlare in dettaglio della carovana di auto con a bordo un santone indiano e una Diamanda Galàs, un pappone e una delle sue signorine, uno stimato professore e la sua chitarra, diretti verso la casa del pirata e della sua fidanzata zingara. Lascerò sospesi come un abbaglio questi particolari, senza spendere parole neanche per l’abbondanza dell’ottima impepata di cozze servita come uno dei tre antipasti.
Come a dire: chi non c’era non si sforzi nemmeno di capire, e chi c’era mantenga il riserbo.

Archiviata così la carnevalata finale (interrotta solo da chi sta scrivendo e dalla sua fidanzata, vestiti in abiti discutibili, ma civili), parliamo di quello che è stato il debutto dello spettacolo nuovo del Thiasos (per chi dovesse capitare su questo blog senza sapere di cosa stiamo parlando: il Thiasos è il gruppo teatrale che fa capo all’Associazione culturale ARSenale delle ARTI), la MEDEA di Euripide. Altri e altrove hanno la competenza e il diritto di dire se lo spettacolo è stato bello, e semmai in cosa è perfettibile.
La prima versione della nostra Medea, ha debuttato il 23 maggio 2001, al teatro dei Varii, sempre di Colle val d’Elsa. Era uno spettacolo “di passaggio”, tra quello che erano i nostri allestimenti prima (per esempio ricchi di vestiti anticheggianti) e quella che è diventata la cifra stilistica del nostro gruppo, cifra stilistica ben delineata seppure con continue evoluzioni.
Le differenze tra i due allestimenti sono enormi. In primis la scenografia. Nella Medea del 2001 l’ambientazione era la camera della protagonista, segnalata solo dal letto, sulla quale però svettavano immense le vele della nave Argo, altissime, come se Medea ne avvertisse sempre il peso, l’incombenza e la presenza. I vari personaggi restavano come fluttuanti in questo spazio, come apparizioni. Ed i costumi variavano, da quelli, come già detto, classicheggianti (Medea, Egeo, la nutrice, il messaggero) a quelli invece più simbolici (Giasone, che vestiva un lungo e sinteticissimo cappotto da marinaio).
Differenze rilevanti sono anche nella scelta dell’attrice protagonista. La prima, la bravissima Natascia Naldini, era una Medea corporale e corposa, con una totale padronanza della voce e di tutte le sue sfumature (Natascia, infatti, cantava e canta tutt’ora in vari gruppi ed è insegnante di canto).
La Medea nuova versione, invece, è stata interpretata dall’altrettanto brava Cristina Castellini, una (quasi) debuttante che con noi aveva finora avuto solo piccoli ruoli, quasi sempre corali. Ha messo in scena una Medea prima elegante e raffinata nei modi e nei gesti, poi schizofrenica e bestiale nel maturare e compiere l’omicidio dei figli. Un bipolarismo strisciante ben inserito nell’ambiente borghese suggerito dall’ambientazione. È sempre la camera della protagonista, ma questa volta non c’è il letto nuziale (che Giasone ha abbandonato), solo una sedia e disseminati ovunque bauli, a dare il senso di profondità e di ripartizione degli spazi, e al contempo la connotazione temporale e il senso di imminente partenza della protagonista.
La nave Argo, questa volta, è uno dei giocattoli che i bambini di Medea e Giasone hanno lasciato in disordine, a testimonianza della loro ostinata presenza all’interno della vicenda, seppure non compariranno mai in scena.
Il vello d’oro altro non è che un tappeto, un complemento d’arredo che i personaggi calpestano con non curanza. Solo la protagonista e Giasone sapranno dargli l’importanza che ha, in due momenti cruciali della storia.
I costumi sono estremamente borghesi: le coreute e la nutrice vestite da cameriere della casa, completo scuro per gli interpreti maschili, Giasone in completo da ammiraglio, Medea in un elegante vestito nero. Insomma, perfettamente inseriti e a proprio agio nell’ambiente che li circonda. Fa eccezione Egeo, l’unico momento straniante dello spettacolo (sul perché, vi rimando a uno dei post precedenti: Medea fiam, le note di regia).

Lo so che sono parziale, avendo preso parte allo spettacolo (anzi, ad entrambe le versioni). Ma credo che Sandro Biotti e Giacomo Benelli (i registi) abbiano raggiunto un punto altissimo della loro poetica teatrale (e per osmosi, della nostra, di quella del gruppo). Lo spettacolo ha funzionato benissimo, ha avuto ottimi riscontri e chi se lo fosse perso tenga d’occhio questo blog e la nostra pagina facebook, che sono in programma repliche.

Ema

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